Gagauzia, parte prima. Besalma, il rito della sposa e la storia di un popolo dimenticato

Beșalma
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I gagauzi, chi sono costoro? È una domanda che in Italia è possibile porsi, se qualcuno parla a un amico di un viaggio fatto in Gagauzia. Sono sicuro che il 99% degli italiani non abbiano idea di dove sia la Gagauzia nella cartina geografica. Eppure, informandosi sul web, si scopre che la Gagauzia è un territorio autonomo in continuità territoriale con la Moldova, ha un suo presidente (la signora Irina Vlah), una sua bandiera, parlano una lingua simile al turco (il gagauzo) e vanta una storia lunga secoli, con ingiustizie, sottomissioni, deportazioni. Tanti conoscono, o almeno hanno sentito parlare in Italia, del genocidio degli armeni, ma mai delle angherie subìte dai gagauzi. C’è però un posto dove poter recuperare tutto questo in un piccolo villaggio della Gagauzia, chiamato Besalma (o meglio, Beșalma). Quattromila anime in mezzo alla campagna, non lontano dal confine con l’Ucraina, dove si trova un piccolo museo etnografico dedicato al popolo gagauzo.

Le signore che lo gestiscono sono molto cordiali e gentili, parlano russo e quindi se non si conosce questa lingua è bene dotarsi di un interprete (ci possiamo salvare se conosciamo il turco). Altrimenti è difficile, se non impossibile, immedesimarsi in questo luogo così ricco di storia. Nonostante sia molto piccolo, servono delle ore per capire appieno cosa è stato e come vive oggi il popolo gagauzo, quando orientarsi da soli senza guida è praticamente impossibile. Tra le guide c’è anche Lyudmila Marin-Karachoban, figlia del fondatore del museo Dmitry Karachoban. Un uomo poliedrico, che nella sua vita ha fatto l’insegnante, il pittore, cinema, tutto questo per far conoscere la storia della Gagauzia e tramandarla. L’introduzione alla visita è dedicata proprio a lui e alla sua vita: per iniziare con il museo chiese a tutti i bambini della scuola, negli anni Cinquanta, di portare degli oggetti vecchi per fare una raccolta. I genitori inizialmente si opposero, poi nel 1966 il sogno di Karachoban si realizzò come lo vediamo oggi.

I 200mila gagauzi hanno la particolarità di essere turchi ma credenti della fede cristiana ortodossa. La loro storia recente inizia nel 1812 quando la Bessarabia passa dal Principato di Moldavia all’Impero russo in seguito alla sconfitta degli Ottomani nella guerra russo turca del 1806-12. La conseguenza fu l’allontanamento dei nomadi nogai dalla parte meridionale della Bessarabia, ovvero il Budjak, e l’arrivo dei gagauzi dalla Bulgaria orientale, che furono fatti venire qui dai russi stessi.  Tra il 1812 e il 1846 s’insediarono formando vari villaggi come Comrat, Avdarma, Cișmichioi, Congaz e Tomai. La Gagauzia ha avuto piena indipendenza solo cinque giorni, nell’inverno del 1906, quando fu costituita la Repubblica di Comrat. Nel corso del XX secolo sono stati sottomessi dall’Impero russo, dalla Romania, dall’Unione Sovietica e poi passati sotto la Moldova. I sovietici furono assai repressivi nei loro confronti qualora non fossero diventati membri di Colhoz  e, nella seconda guerra mondiale, i gagauzi furono divisi in maniera forzata tra l’esercito russo comunista e quello tedesco nazista, trovandosi persino a combattere tra di loro. Solo negli ultimi decenni la Gagauzia ha ritrovato la pace siglando un’intesa con la Moldova che la rende indipendente, libera, autonoma ma in continuità territoriale. Solo se un giorno la Moldova deciderà, nel caso, di annettersi alla Romania, la Gagauzia sceglierà la via dell’indipendentismo tout court.

Molto suggestiva è la ricostruzione di una casa tipica: le donne lavoravano al telaio d’inverno mentre d’estate fornivano la loro manodopera agricola. Il forno aveva la possibilità oltre che di cuocere i cibi anche di scaldare il letto in inverno, con doppia feritoia in modo da non propagare il calore in estate. Si mangiava a terra, su un piccolo tavolo rotondo, e si aspettava il pater familias prima di mangiare. Si viveva di quel che c’era e alcuni contadini più ricchi potevano dare lavoro ad altri più poveri, facendo anche dei prestiti ad alto tasso di interesse (in beni agricoli). Le scarpe erano un lusso e un bene prezioso, spesso fatte con la pelle dei maiali.

L’orgoglio gagauzo è raccontato a Besalma dall’esposizione di immagini di benemeriti, premi ottenuti nello sport e nelle scienze, delle leggi che regolano ancora questo territorio. Nelle scuole si studiano quattro lingue (russo, rumeno, inglese o francese e gagauzo) e gli stipendi medi sono più alti rispetto alla Moldova, nonostante qui si viva quasi esclusivamente di agricoltura.

Fiore all’occhiello è però il rito nuziale tipico dei gagauzi: ammetto che ricordarsi tutte le pratiche è pressoché impossibile. Ci vorrebbe una enciclopedia per elencarli. Loro li conoscono perché se li tramandano di generazione in generazione e li seguono alla lettera. Al museo di Besalma ci mostrano un video che fa vedere un matrimonio gagauzo tradizionale diviso in tre fasi: il fidanzamento, le nozze e il post nozze. Si va avanti per mesi. Se non ricordo male deve essere un amico del potenziale sposo a chiedere al futuro suocero l’incontro. Si fa una cerimonia vera e propria in modo che la famiglia dello sposo capisca se la futura nuora è una donna all’altezza. Le persone presenti stringono dei soldi nelle mani della sposa quando questa li incontra. Una cerimonia apposita con canti e doni interessa le donne quando la futura suocera porta i propri doni alla nuora. Di questo frangente abbiamo avuto la possibilità di assistere a una rievocazione all’interno del museo di Besalma, proprio dove si trovano esempi di vestiti nuziali e di corredo matrimoniale. Simpatica è una danza, la si vede nel video sottostante, che rievoca la raccolta dell’uva.

Prima di lasciare questo simpatico villaggio diamo un occhio alla chiesa ortodossa del paese, con il suo azzurro intenso, con il pozzo nella piazza e, nella campagna, un monumento di chiaro stampo sovietico. Per il momento il viaggio in Gagauzia termina qua, in attesa di andare a scoprire altre due località molto interessanti: Copceac e il capoluogo Comrat.

(si ringraziano per l’articolo Cristina Rus e Ivan Marchisio)

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