La Route 66 al contrario. Il Far West, Oatman, sentirsi piccoli piccoli

Breve premessa stradale. Negli Stati Uniti il sistema di numerazione autostradale è semplice e immediato: le highway, quelle che ci fanno vedere nei film, si chiamano Interstate, e se vanno da est a ovest e viceversa hanno il numero pari; se vanno da nord a sud hanno il numero dispari. La Route 66 e quella che ne rimane, o è stata soppiantata dalle Interstate 40 (da Barstow, California a Oklahoma City, Oklahoma), 44 (da Oklahoma City a St. Louis, Missouri) e 55 (da St. Louis a Chicago, Illinois), oppure ci corre accanto.
C’è una guida che ci fornisce un supporto fondamentale, semmai volessimo seguire alla lettera le indicazioni per guidare metro dopo metro sulla 66. È la EZ66 – Guide for travellers, tutta in inglese, nella quale l’autore, Jerry McClanahan, ha messo dentro dei contenuti intelligenti e organizzati, nonché delle indicazioni molto precise. Inoltre, la guida è fatta per essere sfogliata dall’inizio (se si parte da Chicago) o dalla fine (se si parte da Los Angeles).

Se volete provare il brivido di guidare in mezzo al deserto dell’Arizona – immenso, sperduto, disarmante – trovate la scusa per andare a Oatman, una cittadina che rimane sulla vecchia Route 66, poco dopo il confine fra California e Arizona. Oatman è praticamente rimasta al XIX secolo, e se non fosse per le automobili dei turisti parcheggiate sull’unica strada che l’attraversa e per il bar funzionante con la televisione sintonizzata sulle partite di baseball, parrebbe uno di quei villaggi western nei quali c’era lo sceriffo e la gente andava in giro con le carrozze. Il negozio di cianfrusaglie è rimasto chiuso dall’inizio del secolo scorso – almeno così ci fanno credere i fogli di giornale che tappezzano la vetrina, datati agli inizi del ‘900 – gli edifici sono di legno, c’è l’ingresso alla miniera, l’officina del fabbro è ancora lì con gli arnesi riposti e dei muli girovagano per la città indisturbati e anzi nutriti da turisti e gente del posto. I burros – così li chiamano – sono come le vacche sacre in India: intoccabili, beneamati, protetti da leggi statali.

Lasciando Oatman verso nord e seguendo praticamente il vecchio tracciato della Route 66 (che adesso si chiama Oatman-Topock Highway – ma non è una highway, e attenti, ché a tratti è anche dissestata), ci immergiamo nel deserto roccioso. Prima di percorrere il rettilineo che a Kingman si ricongiunge con la I-40, la vecchia Route si snoda fra curve più o meno strette in mezzo a pendii più o meno rocciosi. Fermatevi dove potete e dove siete in grado di ammirare la valle, poi spegnete il motore e godetevi il silenzio del deserto.

Flagstaff è una buona base per raggiungere il Grand Canyon. Il capoluogo della contea di Coconino si trova a sud rispetto all’attrazione naturale, e per arrivarci bisogna percorrere la I-40 verso ovest e imboccare la statale 64 verso nord. Pochi chilometri dopo Tusayan, comincia il Grand Canyon National Park, e ce ne accorgiamo perché comincia la fila delle macchine ferme per pagare il pedaggio al casello ed entrare nel parco. Ancora pochi chilometri e si arriva nel grande parcheggio dietro il Mather Point, nel Grand Canyon Visitor Center, dove tutto è organizzato per la giornata perfetta al Grand Canyon: negozi di souvenir con crema per le mani e burrocacao per ovviare alle frequenti giornate ventose, calde e secche a cui quest’area è frequentemente soggetta; libri e guide su come ha fatto il fiume Colorado a scavare un fossato di quasi due chilometri di profondità; guide fotografiche su com’era, com’è e come sarà il Grand Canyon; ristoranti; bagni pubblici, rigorosamente funzionanti e meravigliosamente puliti.
E poi tutti sul South Rim, che è la strada che costeggia il canyon a sud e che si può percorrere a piedi, con i propri mezzi (ma si paga un sovrapprezzo) o con le navette comprese nel prezzo d’ingresso, che fanno avanti e indietro fra le fermate, organizzate su ogni punto d’osservazione e chiamate con i nomi delle tribù indiane che abitavano la zona. Oppure il canyon si può percorrere all’interno, ma bisogna stare attenti al caldo, e per questo per scendere sono necessarie delle licenze particolari che rilascia lo stato dell’Arizona. Infine c’è l’elicottero: per farsi un giro per aria fra le pareti del Grand Canyon basta affidarsi a qualsiasi agenzia che organizza questo tipo di escursione, per cui praticamente ogni struttura ricettiva della zona è fornita di depliant pubblicitari con tutti i contatti. Solo che se c’è il vento, tutto è inutili: l’elicottero rimane a terra. C’è anche il North Rim, ma per percorrerlo bisogna costeggiare il Grand Canyon a est e raggiungerlo sul lato nord: ci vuole un po’ di più e il percorso a nord è un po’ meno “commerciale” del camminamento meridionale. Da qualsiasi punto lo si guardi, il Grand Canyon è qualcosa di una inimmaginabile grandezza, tanto che è praticamente impossibile non rimanere senza parole alla vista di tutto quello che ci si para davanti una volta arrivati alla balaustra del Mather Point.

Ah, sulla strada che porta al Grand Canyon capita di imbattersi nelle alci. Ce ne sono diverse in quest’area e non è raro trovarne anche per i centri abitati.

Nella prossima tappa negli USA andremo nella foresta pietrificata (cercando di lasciare tutto com’è) e passeremo dalle Old Town di Albuquerque e Santa Fe attraverso Madrid.

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